“Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini.” Questa frase del celebre scrittore francese Louis Fredinand Céline pone il tema della storia e della verità. Opinione comune è quella che vuole la storia scritta dai vincitori. Obbligo nostro, ora che la distanza è più ampia, non è solo rendere verità alla storia, ma anche giustizia a certe vicende che riguardano il nostro passato di uomini, in modo da non commettere e ripetere errori e cattive interpretazioni in nome di false parole che passano come grandi ideali.
DIFESA DI ETTORE ZAGARESE – AVVOCATO PENALISTA
Preside per la Calabria dell’Ordine Militare S.S. S.Brigida di Svezia in favore di Domenico Straface Palma in occasione del convegno celebratosi in Longobucco per la tre giorni del brigante
Nessuno è un buon avvocato della propria causa. La ridondanza di emozioni può far perdere la freddezza necessaria per approcciarsi asetticamente ad un caso e trarne i pii proficui spunti difensivi.
Questa è la personalissima causa che difendo ora dinanzi a Voi.
La difendo in un Tribunale che mi è geograficamente vicino poiché nelle mie vene scorre sangue longobucchese per parte di madre e quale Preside dell’Ordine Militare di Santa Brigida ho un ulteriore legame con questo centro, particolarmente devoto alla patrona di Europa e nella cui chiesa matrice viene ancora custodita una lapide a ricordo di un nostro comune evento.
Difendo poi uno stretto congiunto: quel Francesco Leonardo Straface, rinchiuso nelle carceri di regime a cinque anni perché’ incolpato di essere il figlio del brigante Palma è mio nonno ed io ne porto il nome, Ettore Francesco
Lo difendo dinanzi una giuria molto colta. Negli anni ho sempre letto con piacere i lavori che questo territorio ha compiuto sulla persona di mio nonno, opere queste dotate di alta scientificità e prive di adipe retorica.
Lo difendo contro accusatori prevenuti. A distanza di secoli dagli eventi la damnatio memoriae non è cessata e non manca chi ancora batte la gran cassa del Palma criminale. Non li comprendo. Gli incartamenti mi dicono che l’opera di Palma fu un “guerra santa” contro i galantuomini. Palma è il campione della lotta contadina contro nobili e borghesi, arricchiti e venduti al “Piemontese”. Quelli che prima inneggiavano al Re Borbone e poi hanno indossato i panni dei savoiardi pur continuando a tenere i piedi in due staffe prendendo sottobanco fiumi di denaro dal brigante: i manutengoli!
È lo stesso Padula a confermarlo tra le pieghe del suo giornale e Padula, certamente, non lo si può annoverare tra i fiancheggiatori del brigantaggio.
Che quella del Palma sia la rivolta, disperata e senza possibilità di successo, del villano contro i galantuomini lo si nota sin dagli albori. Era un contadino mite e laborioso ma la sua vita prese una piega inaspettata quando nel 1847 appena sedicenne finì coinvolto in un’aggressione ai danni dell’ennesimo galantuomo di Rossano. Anche mia nonna, moglie del figlio del brigante, che ne aveva raccolto le poche confidenze – diceva spesso che mio nonno non amava parlare del padre – e che era memoria storica della famiglia, lo legava ad un episodio di violenza contro una ragazza longobucchese al quale il giovane Domenico si era ribellato.
Ed è quindi un motivo romantico per il quale il “Re della montagna” diviene brigante e non per riempirsi le tasche. Le tasche le riempirà alle famiglie di molti scherani di regime, borghesi e nobili, che fornivano copertura dietro lauti compensi. Oggi li definiremmo “concorrenti nel reato”, all’epoca li chiamavano “galantuomini”.
Perché in primis il nemico di Palma non aveva un colore politico ma aveva il volto del ricco che affamava il contadino. Le motivazioni di carattere politico verranno poi e saranno di risulta: solo dopo Palma collegò la sua lotta ai tentativi di restaurazione borbonica venendo nominato da Francesco II colonnello. Sempre mia nonna ricordava, chiusi in un fondo di baule, le “patenti”: “Noi…. Sovrano del Legittimo Regno delle Due Sicilie… conferiamo all’ ottimo nostro suddito Domenico Straface… ”
La patente di grassatore mal gli si addice, fu un esecutore anomalo di crimini. Ad un grassatore professionista cosa interessava di disporre un editto quale “lo sbarro delle castagne” che autorizzava i poveri di Rossano ad andare a raccogliere gratuitamente il frutto nei boschi o punire chi, tra gli stessi briganti, vessava la popolazione o infine disporre aiuti per indigenti – ” Io sugnu amicu de li poverelli, a chi fazzu lu mantu, a chi u cappiellu “.
Vi è un dato che è sintomatico del personaggio e della sua consapevolezza di condurre una lotta senza speranza: quando qualcuno andava per cercare di aggregarsi alla sua banda, lui altrettanto cercava di dissuaderlo e gli metteva a disposizione il suo denaro perché potesse farsi difendere dai migliori avvocati del tempo, di modo da potersi mettere a posto con la legge. Con le sue risorse aveva istituito il gratuito patrocinio per i non abbienti! La mia categoria quindi gli deve una difesa pro bono.
Ed ora qualche osservazione spicciola di basso acume giuridico.
– Le condotte illecite stanno tutte sull’ operato del Palma o su chi arrestava la moglie ed il figlio di cinque anni solo perché’ parenti di briganti? Ma di grazia la responsabilità penale era non era anche in quell’ epoca personale?
-Stanno tutte sull’ operato del Palma o su chi procedeva indiscriminatamente alla fucilazione dei catturati simulando la loro fuga ed infierendo, poi, sui cadaveri?
-Stanno tutte sull’ operato del Palma o su chi torturava? È vero o non è vero che anche la tortura venne praticata dal neonato Stato italiano nella colonia Calabria?
-Stanno tutte sull’ operato del Palma o si chi carcerava, condannava ed eseguiva la condanna senza neanche un simulacro di processo?
-Stanno tutte sul Palma o su chi conduceva l’azione investigativa sul principio che “bisogna atterrire queste popolazioni”?
Che Palma fosse un grassatore anomalo lo testimonia il suo borsello: morì povero in canna.
Conclusioni
Concludendo la mia non è una difesa del crimine ma un’accusa a chi ne vorrebbe cancellare la memoria o peggio distorcere il ricordo. Il pensiero che in proposito mi piace richiamare è quello di mio nonno Francesco reso in risposta al sig. Mario Caputo, direttore del Popolano: ritengo che quando si parla di un uomo acquisito alla storia, bisogna farne la biografia esatta e se non la si conosce è meglio lasciarlo in pace, dove morì, ucciso in un burrone, fatto pasto ai lupi, senza neppure un segno di croce. C’è tanta gente che ancora può dire qualche cosa sul brigantaggio, triste emanazione di tempi ingiusti ed io posso dirvi che Straface o Palma si trovò in campagna perché sapeva che non v’era giustizia per un popolano e che egli da tutta la Calabria era chiamato il Re dei boschi, il brigante galantuomo, perché non era sanguinario, imponeva rispetto all’ onore altrui, perseguitava i ladruncoli, che sotto nome di briganti assassinavano chi passava, senza indagare sulla sua condizione sociale.
Concludo chiedendovi non l’assoluzione di Domenico Straface Palma ma, incondizionato, il massimo rispetto!